Nella settimana dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne, vorrei parlarvi di un libro che ho letto e che è basato proprio su questo argomento.

Il libro è di Loredana De Vita e si intitola Non scavalcare quel muro, edito Nulla die (2017).

Intanto, Loredana De Vita è una scrittrice napoletana docente di letteratura e lingua inglese, autrice di vari libri, romanzi e saggi.

Sul tema della violenza di genere ha scritto molto; questo libro in particolare tratta di violenza domestica.

La trama:

Maria è una donna che raccoglie un lascito di violenza che la madre, in un’epoca in cui la figura femminile era relegata nel ruolo della moglie e madre obbediente, ha vissuto in passato.

La madre di Maria, vedendo nella figlia quelle stesse inclinazioni pericolosamente lambite dal suo rapporto con Giovanni, cerca di convincerla a non scavalcare quel muro, a non guardare dall’altra parte. Conscia di come la realtà di certi rapporti finisca per risucchiare la volontà di quelle che diventano vittime inconsapevoli, tenta in ogni modo di convincere la figlia a fermarsi sinché è in tempo.

Questi tentativi, pregressi rispetto alla storia, che inizia proprio con la morte della madre di Maria, sono come una sottile coscienza che accompagna la donna all’altare, come se quel matrimonio, e le sue conseguenze, fossero inevitabili.

Maria viene travolta sin dall’inizio della sua vita coniugale in una lunga serie di umiliazioni e vessazioni che insieme subisce e riconosce, incapace però di respingerle.

Nonostante la vicinanza dei fratelli, la loro avversione per Giovanni e l’offerta di aiuto costante, la donna finisce in un turbine malato che piega ogni sua volontà, tra continui insulti e abusi.

Una gravidanza, poi un’altra, Maria, come accade in queste vite piegate al volere dei loro aguzzini, si trova legata mani e piedi; metà di quella corda appartiene a lei solamente: è lei che se la lega stretta ai polsi e alle caviglie, convinta di essere in parte meritevole di quelle violenze.

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Questa storia è tratta dalla vita vera, mi piace questa definizione dell’autrice: “non una biografia o una cronaca, ma una deposizione al Tribunale degli assenti”.

Rende l’idea di quanto certe esistenze, consumate nelle trame veloci della collettività, finiscano per trovare la normalità nel silenzio circostante.

Scoprirete, andando avanti nella lettura di questo libro intenso, scritto con densità e sapienza, che ne è di Maria. Ma soprattutto scoprirete, qualora ve lo siate chiesto, come certi drammi si reiterino nel tempo, consumandolo e rinunciando volontariamente alla ribellione.

Ogni volta che un motto d’orgoglio vedrà l’alba, tramonterà inesorabile subito dopo, schiacciato sotto alla convinzione di non avere diritto.

Ogni volta che un barlume di speranza troverà modo di manifestarsi, verrà spento dall’incapacità di ritrovare amore per se stessa.

Non è facile riassumere tutte le sfumature raccontate così bene in questo libro, il come certe unioni proliferino persino ai giorni nostri, persino in condizioni di normalità familiare, di comune vita.

Di come certe eredità diventino modi genetici di amare e assoggettarsi all’altrui volontà, anche davanti ad avvertimenti accorati.

Quel che il libro ci racconta, oltre alle vite di Maria e di sua madre, è come la coscienza femminile contenga ancora il retaggio, sociale e familiare.

Come l’autrice stessa afferma nella sua sinossi, Il lettore rischia di trovare molto di sé stesso, del suo presente o del suo passato”.

Questa frase è cruda e vera, persino se attribuita a vite comuni dove non vi sia un’espressione così estrema di violenza come nel caso della storia di Maria.

Ogni esistenza femminile, ancora oggi, conosce la violenza del giudizio, la necessità di emanciparsi da un retaggio che è ancora presente, e lo è in ogni ambito sociale.

Ognuna di noi, pur non essendo Maria, pur non avendo a fianco a sé un Giovanni, sa bene quali siano quei soprusi, dove aleggino, cosa intendano diventare.

Ognuna di noi si è mossa tra i pregiudizi di una mentalità che di quella violenza è causa ed effetto. Che se le ha schivate, le attenzioni dell’aguzzino, ne conosce comunque le dinamiche, le riconosce, anche se alla fine è riuscita ad arginarle.

Tra le altre cose, quel che questo libro ci ribadisce costantemente è la necessità di educare le generazioni future.

Le generazioni future sono destinate ad assorbire i resti della malattia del tempo; magari la rigettano, ma continuano a recepirne la direzione, quella del vecchio rigagnolo che, anche da asciutto, lascia dietro di sé la traccia di ciò che è stato.

Ieri parlando di libri ho detto che un romanzo deve avere due requisiti: utilità e spessore. Questo libro di Loredana De Vita ha molti requisiti, fra questi, certamente ha anche i due irrinunciabili.

Patrizia Ciribè