Dopo la pausa estiva, cerco di riprendere la mia rubrica con le auspicabili positività ed entusiasmo.

Non è facile, considerato tutto: il Covid in primis, il negazionismo che dilaga anche in menti insospettabili, il qualunquismo di certi personaggi politici e le solite notizie di cronaca nera che, quasi sempre, hanno come vittime le donne.

Poi le morti di qualche star che lasciano sempre vuoti soprattutto epocali, di tempi che finiscono lasciando una malinconia spesso più fondata sull’idealismo che sulla realtà.

La ruota gira e ogni volta ciò che c’è stato prima appare migliore; più profondo; da rimpiangere.

Questa mattina riflettevo proprio su questo, sui cliché di una mentalità che, nonostante alla fine passino le vite dei detentori del bello e patinato, capostipiti di un machismo pretestuosamente affascinante (ma pur sempre machismo), non finisce.

È incredibile, perché tutto muore, tutto ha un inizio e una fine.

Ma proprio non è possibile vedere la fine di certi modi espressivi che continuano a dipingere una realtà piegata alla fallocrazia.

L’ho scritto anche su Facebook questa mattina:

 

 

E penso che per quanto risulti superflua come riflessione, sia in realtà il motore per tutti i fenomeni di prevaricazione ai danni del genere femminile.

La ragazza che viene uccisa dal vicino; la donna che viene uccisa dall’ex marito/amante/fidanzato/convivente; la studentessa che viene fatta a pezzi dalla famiglia per motivazioni religiose.

E qui vi voglio, perché quando accade questo, tutti gettano la scure sugli assassini, portatori di una mentalità antiquata che vuole le donne relegate nelle retrovie dell’esistenza.

Ma per la mentalità occidentale, che deriva da secoli di cattolicesimo e derivati; da vessazioni d’ogni tipo; violenza e abusi mascherati da indipendenza femminile -quella cosa che sulla donna, spesso, si ripercuote negativamente, come fosse una punizione al legittimo desiderio di uguaglianza-, nessuno si scandalizza mai.

Il machismo, il sessismo, l’antifemminismo che ogni giorno sono causa della perdita di lavoro, autonomia, possibilità di scelta, libera espressione, passano inosservati solamente perché le donne non girano più con la veletta in testa e la gonna alla caviglia.

Ma il fatto che un telegiornale possa elencare tra le cose preferite di un attore, morto di vecchiaia, anche le donne come fossero oggetti, insieme alle automobili e al gioco d’azzardo, è la vergogna di un mondo che sopravvive anche a chi l’ha inventato e perpetrato.

Guardiamo l’Afghanistan e giustamente ci stupiamo della condizione femminile, ma non pensiamo mai che la matrice abramitica delle tre religioni monoteiste è la medesima e si dirama nelle generazioni con il favore della mentalità maschile, non con quella femminile.

Io penso che il futuro sia delle donne, lo penso con molto ottimismo; che alla fine le generazioni future, rigettando i cliché crogiolati nel passato privilegiato di alcuni, sapranno ristabilire gli equilibri che le religioni hanno distrutto, portatrici di ogni tipo di pregiudizio.

Forse lo penso perché settembre sembra sempre la conclusione dell’espressione massima di qualcosa, anche di negativo.

O forse solamente perché oggi voglio essere ottimista e pensare che le donne di ieri abbiano allevato uomini migliori e donne più indipendenti.

Buon settembre a tutti.

Patrizia Ciribè