Up di stracci, di Gaetano Pesce

Mi imbatto nell’immagine di un’opera di Gaetano Pesce, architetto, designer e scultore di origine ligure, comparsa sulla pagina social del quotidiano on line Genova24.

L’opera si intitola “Up di stracci” ed è esposta da ieri in piazza De Ferrari a Genova, in occasione della mostra “In ricordo di un amico” a cura del Museo di Villa Croce.

Sulla pagina Facebook del quotidiano, l’immagine dell’opera è corredata da poche parole implicitamente provocatorie, con le quali viene chiesto agli avventori cosa susciti in loro.

Ci sarebbero da spiegare troppe cose sull’arte moderna, soprattutto sull’approccio necessario, approccio che ha a sua volta bisogno di una forte curiosità intellettuale e artistica quasi completamente assente fra la gente.

Sarebbe troppo lunga da commentare la questione dell’arte concettuale; la sua necessità creativa; la rivoluzione culturale che ne scaturisce.

Ma soprattutto sarebbe arduo pretendere che i tanti che credono di poter commentare ogni cosa senza mai approfondire nulla, si astengano dal vomitare le loro sentenze.

Partiamo dunque sintetizzando con qualche informazione su Pesce, un artista che laureatosi in architettura, partendo dall’Italia, ha trovato ascolto in altri Paesi del Nord Europa e infine negli Stati Uniti, dove, con una lunga carriera, si è espresso ad altissimi livelli.

Non è una storia inedita la sua: sono moltissimi gli artisti italiani che hanno costruito il proprio lavoro, e il proprio nome, fuori dal nostro Paese.

Durante i miei studi artistici, e i relativi approfondimenti, ne ho conosciuti alcuni. Una di questi, Vanessa Beacroft, per un periodo mia concittadina, che è da anni una delle artiste più considerate negli Stati Uniti.

Vanessa è nota negli States, e non solo, per installazioni viventi che ormai da oltre vent’anni compongono, e narrano, la storia della condizione della donna attraverso rappresentazioni di grande impatto visivo ed emotivo.

Dalla fine degli anni Novanta, espone in musei di fama mondiale tra i quali il Guggenheim di New York.

Ma il punto non è tanto la sua importanza artistica (o almeno non lo è in questa mia riflessione) quanto la necessità di ascolto di cui l’arte concettuale e moderna vive.

E non è neppure un discorso legato strettamente allo studio dell’arte, quanto alla curiosità intellettiva di cui l’arte concettuale si nutre.

Ma dov’è la curiosità nel nostro Paese? Ne vedi una parte, spesso unicamente esibita, visitando qualche evento artistico nelle maggiori città d’Italia.

È completamente assente tra la gente comune che, invece di domandarsi il motivo di qualcosa, si esprime denigrando ciò che non conosce e che non comprende.

Il punto del concetto è il pensiero che passa attraverso l’immagine, ma senza il desiderio finale di soddisfare immediatamente; di suscitare o ispirare chi guarda -come le poche parole che, sulla pagina di Genova24, corredano l’immagine dell’opera di Pesce istigando l’osservatore a un commento immediato.

Perché, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, l’arte concettuale non chiede conoscenza, richiede curiosità, domanda, riflessione.

Ed è sempre stato questo il suo limite più grande: l’assenza, nell’osservatore digiuno, di una fame conoscitiva, quasi sempre sostituita dal pregiudizio.

Il punto, in ogni ambito sociale e culturale, è sempre il pregiudizio: ciò che si pensa senza sapere e che invece di diventare domanda, diventa sentenza.

Ed è da quest’assenza di necessità intellettuale, che diversamente da ciò che si pensa non richiede solamente studio ma più impellentemente un sano desiderio di sapere, che nasce, e si esprime, la bruttezza della società.

 

L’immagine di un gruppo di persone di differente etnia che sbarca sulle nostre coste crea immediato fastidio; una pulsione insana; un pregiudizio che si esprime con e attraverso l’odio.

L’arte concettuale educa alla domanda, alla necessità di conoscere prima di esprimere un sentimento che, per quanto miseramente umano, nasce sempre da ciò che si ignora.

E invece di esprimere il proprio dubbio davanti all’espressione artistica esistenziale, che lo richiede per implicita necessità, lo si esprime in merito a elementi scientifici che invece, per essere compresi, richiedono conoscenza.

 Up di stracci, di Gaetano Pesce (bozza)

 

Tornando a Pesce, che nel suo cammino di artista, come tanti altri, ha espresso comprensione per il mondo delle donne; solidarietà; dolore; empatia per la sofferenza.

Il fatto che la gente non si chieda cosa l’”Up di stracci” desideri in termini di riflessione; cosa esprima concettualmente, prima di vomitare la propria, costante arroganza, non offende solamente chi l’ha creata, ma offende l’intelligenza umana e il suo alto potenziale.

Che nessuno è profeta in Patria lo sappiamo (nel mio piccolo, lo so anch’io come autrice), ma sarebbe tanto bello se, prima di gettare il proprio livore su qualcosa, ci si chiedesse, non dico tanto: Perché?

 

Patrizia Ciribè