Per me che vivo in un paese da sempre, un paese di tre anime, è normale pensare che l’atteggiamento con cui la gente giudica continuamente le vite altrui sia un fatto legato al territorio.

Che la limitatezza della mentalità comune, di gran parte delle persone con cui ci si trova, superficialmente, a parlare, sia condizionata dalla poca densità della popolazione; dal modo con cui si vive isolati dal resto del mondo.

Non è strano pensare che quando il distanziamento sociale, al di fuori dei periodi di affluenza turistica, è un fatto fisiologico e non una misura preventiva, l’isolamento che ne deriva sia il motivo per cui la poca gente che c’è cerchi di inventarsi qualcosa di cui parlare.

I manifesti funebri, le pubblicazioni matrimoniali, il tradimento, la separazione: questi sono i fatti che tengono in vita la piccola comunità, così sempre impegnata a spettegolare, salvo poi lamentarsi perché gli altri spettegolano.

Poi succedono cose di rilevanza nazionale e mi ricredo. Quando davanti a eventi straordinari l’atteggiamento comune è lo stesso che si rileverebbe in una realtà come quella dove vivo, mi convinco che il mondo sia tutto il medesimo calderone, pronto a puntare il dito su chiunque e su qualunque cosa.

Per fortuna, su questa vicenda di Silvia Romano ho letto molte opinioni rispettabili, moltissime. Per fortuna, in tanti si ricordano come essere umani e mossi da un atteggiamento propositivo.

Per fortuna, perché ciò che ho letto in contrapposizione è veramente raccapricciante.

Al di là di gente come Vittorio Sgarbi che credo, ormai, si commenti da solo ogni volta che apre bocca (e per uno che ha fondato la sua vita sul giudicare chiunque e qualunque cosa, il fatto di essere esauriente, rispetto a se stesso, credo sia un traguardo), come si suole dire, non ci siamo fatti mancare niente.

Non sono mancati titoli spietati e pregni di dietrologia delle solite testate giornalistiche (Libero in testa) che usano la prima pagina come fosse una gogna.

Non sono mancate le solite campagne denigratorie sui social, di gente che esterna la propria frustrazione tramite insulti.

E nemmeno sono mancate le strumentalizzazioni, una su tutte quella della ministra De Micheli che ha condiviso su Facebook una foto di Silvia Romano apponendo il logo del PD.

Abbiamo visto proprio tutto, tranne un po’ di umiltà nell’affrontare cose che non si conoscono.

Quello che non vediamo proprio mai, sia nel mio paese, che nel nostro Paese, è il rispetto di ciò che non si conosce direttamente.

Vorrei vedere, anche solo una volta, l’opinione pubblica, in solido, fare un passo indietro.

La vorrei veder prendere atto di qualcosa che non conosce in attesa che qualcuno spieghi cosa ha vissuto, i perché di certi eventi. Perché che non ci sono manifesti e che sarebbe interessante conoscere, invece.

Partendo dalla mia sfera personale, sino ai grandi eventi che interessano la vita comune, al reiterarsi di comportamenti sempre uguali e scevri di qualunque spessore, io mi domando sempre perché all’uomo manchi una curiosità sana.

La curiosità, tra le persone, è qualcosa di piccolo, qualcosa che si esaurisce con fatti di poca rilevanza e mai un mezzo per conoscere chi siamo.

Ché attraverso le scelte o gli obblighi che hanno condizionato e cambiato la vita di qualcuno, potremmo capire qualcosa di più di ciò che siamo. Ma tant’è, sembra non importare.

Non importa, perché l’ignoranza, che contrariamente a ciò che si pensa non si basa sulle nozioni che si conoscono o meno, è proprio questo: l’incapacità di essere curiosi su se stessi, partendo dalle esperienze altrui.

Così, torna questa giovane donna, volenterosa, piena di buoni propositi, spinta dalla necessità di cambiare il mondo, dopo due anni di prigionia, e quello che vediamo è il solito gioco al massacro.

Nessuna curiosità sana sul suo mutamento, su ciò che lo ha causato, su quanto sia rilevante e profondo, su quali siano i pensieri che lo hanno generato.

E vi dico questo perché chiunque di noi si sia trovato, nella propria vita, a fare scelte impopolari, e incomprensibili per gran parte della gente, ha solo potuto contare su palate di sterco. Nient’altro.

Eppure, ognuno di noi porta la sua croce -piccola o grande che sia-, le sue cicatrici, strascichi interminabili di errori compiuti per ingenuità o superficialità. E ognuno di noi ha costruito su di essi cose uguali o differenti.

Ma nonostante questo, nonostante chiunque abbia ferite ancora sensibili, si crede di non poter ambire ad altro se non all’espressione di un facile giudizio.

E attenzione, nella mia realtà di paese ho ricevuto giudizi da persone che avevo aiutato a tirarsi fuori da situazioni terribili, risultato di comportamenti reiterati e malati.

Eppure, proprio quelle persone sono sempre le prime ad additare chiunque. Sempre in prima fila nell’incapacità di provare rispetto, se non misericordia, per le esperienze altrui.

In generale, c’è così poca curiosità per l’animo umano, per le sue motivazioni, per i meccanismi che lo condizionano, che anche davanti a una soggiogazione, o a una scelta arbitraria, l’interesse è solamente per la possibilità di esprimere un giudizio e di suffragare quello di qualcun altro.

E non importa se il bersaglio di quella campagna denigratoria sia una ragazza che potrebbe essere vostra figlia, sorella, fidanzata; non importa, perché è così carente, tra la gente, la capacità e la voglia di mettersi nei panni degli altri, che chiunque, alla fine, viene privato di un sentimento di comprensione.

Sono, queste persone, quelle che puntano facilmente il dito su chiunque, così sempre sicure di essere dalla parte giusta, che non si sono mai chieste se non sarebbe più interessante e istruttivo, una volta ogni tanto, essere consapevoli di trovarsi da quella sbagliata.

Ho letto molti difendere le posizioni di Silvia Romano puntando tutto su un facile concetto: “fatevi i fatti vostri”. Che è un pensiero legittimo e, per me, condivisibile. Ma il fatto è che non ci sarebbe nemmeno il problema dell’espressione di quel giudizio, se non venisse espresso senza conoscenza.

Infatti, il problema principale del discernimento, o della mancanza di esso, nella nostra società è quello di esprimersi senza conoscere; esprimersi per denigrare.

Patrizia Ciribè