Tra le tante notizie di questi giorni, mi ha davvero scioccata quella riguardante la donna che, ospite della Comunità Terapeutica Psichiatrica Redancia Po di Crema, si è data fuoco ed è morta.

È successo sabato scorso, in pieno giorno: la donna era uscita dalla Comunità senza che nessuno immaginasse, nemmeno lontanamente, che potesse capitare una simile tragedia.

Aveva 38 anni ed era senza fissa dimora. Portando con sé due bottiglie di benzina, si è versata addosso il contenuto e si è data fuoco.

Il gesto è atroce e lascia poco spazio a qualunque considerazione, ma la cosa ulteriormente sconvolgente di tutto questo è la reazione di chi si trovava sul posto, nell’area verde antistante a un parcheggio e a un ristorante.

Se da un lato vanno encomiati i due ragazzi che sono accorsi in aiuto della donna spegnendo il fuoco con degli asciugamani da mare, dall’altro fa rabbrividire il fatto che, secondo la testimonianza dei soccorritori, altre persone, rimaste impassibili, hanno filmato la scena.

Stefania Bonaldi, Sindaca di Crema, fa una giusta affermazione:

«Io non so come mi sarei comportata di fronte alla drammatica scena di una povera donna che si dà fuoco, se da Wonder Woman avessi avuto la prontezza di intervenire o se fossi rimasta sotto choc. Ma tra il rimanere sotto choc e il tirare fuori i telefonini per riprendere quella drammatica scena, ce ne passa»

Mi capita di imbattermi, sui vari Social, in video con moltissime visualizzazioni che hanno come soggetti bambini che cadono; persone e animali domestici che, mentre incorrono in incidenti apparentemente innocui, vengono riprese da qualcuno.

Certamente strappano la risata: è quasi sempre buffo veder cadere qualcuno, soprattutto se le scene sono talmente comiche, e apparentemente prive di conseguenze negative, che sembrano finte.

Ma il fatto è che qualcuno è caduto veramente; che un bambino davvero si è messo a piangere mentre dall’altra parte un genitore, un amico o un parente lo riprendeva senza preoccupazioni.

Devo dire che ogni volta che mi è capitato di vedere un video del genere, mi sono sempre chiesta cosa spinga qualcuno a tenere talmente a quella testimonianza da rischiare persino che un figlio si faccia male davvero.

Quasi come se portare nel futuro il ricordo di quel fatto, istintivamente, surclassasse persino l’affetto. Come se ci fosse una disconnessione dal proprio sentimento, in quelle fasi della vita che ormai sembrano appartenere di diritto alla ricerca di un pubblico.

Mi sono chiesta spesso se, alla lunga, il modo con cui viviamo la realtà multimediale abbia creato un’eccessiva confusione; se tutti siano in grado di fare un distinguo tra ciò che è vero e ciò che non lo è.

Se il fatto che certe scene diventino buffe, perché nessuno si è fatto particolarmente male, ma che lo diventino per un caso fortuito, in qualche modo, nella mentalità di alcuni, li assolva da conseguenze che non si sono verificate.

Non dimentichiamoci come scene di tragedie, come il naufragio della Costa Concordia o il crollo del Ponte Morandi, siano diventate luoghi di attrattiva per i maniaci del selfie. Di come sia stato necessario allontanare tante persone da quei luoghi perché venivano presi come sfondo per il loro divertimento.

Come se il dissacrare un posto, diventato di morte e tragedia, fosse un comportamento socialmente accettabile, pur con le dovute riserve.

E allora mi sono interrogata anche su come sia possibile rimanere lì a filmare un essere umano talmente disperato e allo sbando da agire contro se stesso provocandosi una morte terrificante.

Mi sono chiesta se sia possibile perdere talmente il contatto con la propria umanità da non riconoscere una tragedia trovandocisi davanti.

Come ormai chi mi segue sa, non mi interessa moralizzare; talvolta mi interessa poco anche additare i colpevoli di azioni deplorevoli.

Ciò che per me è sempre essenziale è comprendere, o tentare di farlo, quel continuo deperimento di ciò che dovrebbe rappresentare la nostra umanità. Umanità che dovrebbe essersi evoluta rispetto a quando la violenza era un circo, un divertimento condiviso da nobiltà e popolo incolto.

Invece eccoci sempre lì, con qualcuno che confonde la tragedia per intrattenimento, e non comprende quanto la propria morbosità sia patologica.

È incredibile come proprio questa donna fosse ospite di un centro per la riabilitazione psichiatrica, mentre quelli che erano lì davanti a filmare siano certi di stare bene; siano tornati alle proprie vite, convinti di avere cuore e cervello come e dove dovrebbero stare.

È incredibile come ogni giorno tanta gente si convinca di essere a posto, perché il dubbio di non esserlo non li coglie mai. Come il dubbio di essere disumani, indifferenti, granitici verso qualunque asperità emotiva pubblicamente riconosciuta, non scuota mai le loro coscienze.

È incredibile e soprattutto drammatico.

 

Patrizia Ciribè