Ai tempi dei social, il credito sociale è diventato qualcosa di facile da scalfire.
Una volta si trattava di una dimensione personale tutto sommato gestibile, controllabile -salvo il chiacchiericcio popolare.
Oggi è un fatto che può prendere dimensioni abnormi.
Certo, ci pensavano certi media a distruggere un personaggio pubblico in prima pagina per poi fare la smentita con un trafiletto invisibile. Però, oggi la diffamazione riguarda anche il soggetto privato, l’utente che scrive su Facebook o simili.
Oggi diffamare qualcuno è estremamente facile, la diffamazione può allargarsi a macchia d’olio, rovinando la reputazione a qualcuno in modo irreversibile.
Questa politica di bassa lega, dove persone che prendono uno stipendio dallo Stato sparano a zero su chiunque, e senza essere suffragati da prove tangibili, ha alleggerito di molto anche il modo con cui le persone trattano la calunnia.
Non che la politica si ponga sempre, o sia vissuta dai più, come un esempio di comportamento, ma certamente quando i primi a sbragarsi sono personaggi che ricoprono ruoli sociali importanti, la gente comune perde ancora di più il proprio ritegno.
Alla base di questa deriva dell’educazione e della misura c’è anche l’incapacità di gestire il mezzo mediatico popolare: i giornalisti, o pseudo tali, imparano presto quale sia la cassa di risonanza di un articolo.
Ma le persone comuni, spesso, non hanno il metro per misurare la potenza e gravità di ciò che scrivono pubblicamente. Essi rispondono spesso con una violenza che, tanto è smisurata, suona quasi involontaria. Come se non si rendessero conto del peso di quelle parole, dell’inadeguatezza e dismisura delle loro risposte.
Il problema si acuisce in questo periodo in cui i social sono ancor di più luogo di frequentazione; ambienti che vedono passare gente che un tempo stava solo alla finestra, che si affacciava di rado. E come in ogni attività che richieda anche un po’ di allenamento, anche qui succede che i nuovi avventori, i ciclisti della domenica, eccedano ed escano dai ranghi.
Poi ci sono quelli che leggendo un post generico, in cui chi scrive riporta la propria sensazione rispetto a qualcosa, e si sentono a tal punto chiamati in causa da reagire senza alcun filtro. Agire infangando senza ritegno l’autore del post.
Allora riflettevo su questo, su quanto i social abbiano amplificato la proporzione delle reazioni sociali e mi sono resa conto che molto dipende anche dall’incapacità generale di prevedere la reazione di qualcuno. Nel bene e nel male.
A volte, infatti, poni molta fiducia sull’intelligenza degli interlocutori, sul loro pudore nell’esporsi, sulla capacità di misurare il proprio eloquio. E resti deluso, stupito da quanto ti fossi sbagliato.
Mi è capitato personalmente, e sarà capitato anche a voi, di imbattermi nell’aggressività di qualcuno che, anche perché incapace di capire il contenuto di uno scritto, si sia lanciato in offese e dichiarazioni al limite della pazzia. O addirittura che abbia fatto il copia/incolla di un post non pubblico per inviarlo ad altri come strumento per i suoi più beceri intenti.
Ebbene, mi pare giusto specificare che queste azioni violano la legge; che, anche se chi le ha ricevute ha scelto di non agire legalmente contro chi le ha mosse, non significa che siano legittime.
Mi trovo a fare queste considerazioni perché, come ormai sapete, rifletto molto sui vari spaccati sociali, sulla proporzione con cui un microcosmo sia lo specchio di una realtà più grande.
Il fatto che la Meloni possa andare in televisione a dire che il Presidente del Consiglio è un Criminale, per esempio, è la realtà in cui viviamo. Ed è la stessa in cui un personaggio come Sallusti può affermare che “il Corona virus ci ha liberato della retorica del 25 Aprile”.
Il fatto che una persona, muovendosi all’interno di un ruolo istituzionale di grande importanza, in modo non condiviso da altri ma comunque usando le misure consentite dalla legge, senza clamore né prevaricazioni alla comune sensibilità, convinca i suoi detrattori di poterla aggredire verbalmente è dimostrazione di quanto gli argini dell’educazione e dell’etica siano stati rotti. Rotti irrimediabilmente.
Davanti a uno schermo che trasmette le ingiurie di un politico verso un altro, c’è la gente. Gente di qualunque tipologia, gente che si identifica con quella rabbia, che finisce per legittimare quello sfogo pure se punibile.
E cosa vieta a quelle stesse persone, che magari non hanno gli strumenti intellettuali per capire quando una reazione è sensata, quale sia la giusta misura di quella reazione, la sua opportunità, di calunniare e offendere a loro volta qualcuno?
La politica è genitrice della vita comune? Io credo di sì, che lo sia. Non è un caso se, come dicevano i vecchi saggi, “la mela non cade mai lontana dall’albero”.
Patrizia Ciribè
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