Cattura

Oggi, a Quante storie, trasmissione su Rai tre, alla cui conduzione è subentrato Giorgio Zanchini in luogo di Corrado Augias c’erano Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, l’una nota scrittrice e l’altra autrice.

Inutile dire che apprezzo molto Michela Murgia, mentre, me ne scuso, non conoscevo Chiara Tagliaferri. Ma ho apprezzato questo lavoro in coro, Morgana si intitola, che si concentra su dieci donne della storia, vissute negli ambiti e nelle epoche più disparate, che in qualche modo hanno incarnato il proprio tempo andando però in controtendenza con esso.

Spesso ho parlato qui della poca solidarietà tra donne; spesso ho posto proprio l’accento sul fatto che la mentalità paternalista, fortemente promossa dagli uomini, è in realtà custodita da molte di quelle donne che sono rimaste legate a quel concetto di società che le vuole relegate nei ruoli di madri, mogli e spalle.

Oggi, la Murgia e la Tagliaferri, con anche molta ironia e la vivacità intellettuale di due menti brillanti, hanno raccontato varie epoche proprio attraverso le donne scelte per il loro lavoro a quattro mani.

Non voglio fare una recensione al libro, che non ho ancora letto, ma sottolineare quanto sia soddisfacente l’incontro e l’ascolto di donne che sanno stravolgere ogni cliché; che parlando di altre donne, e delle loro vite particolari, riescono a soddisfare un bisogno che sento sempre più fortemente: quello della descrizione di una vera uguaglianza di genere.

L’uguaglianza non sta nelle scelte, ché uno nella vita può e deve scegliere ciò che preferisce; l’uguaglianza sta nella possibilità di scegliere ed esprimersi con gli stessi mezzi e in assenza di quei pregiudizi che da sempre impediscono di incagliarsi nelle trappole della morale e del retaggio.

Lo dico sempre che le prime custodi del paternalismo sono le donne, che sono anche le prime a colpire le loro colleghe di genere sull’aspetto, ben sapendo che l’aspetto, nelle convenzioni sociali, è qualcosa che sul valore femminile ha un peso notevole.

E sono anche le prime che aiutano il retaggio a non perdersi. I retaggi, prima o poi, non solo svaniscono, vengono anche dimenticati. A volte si fatica a ricordare l’aspetto di una strada quando trent’anni fa era semivuota; il modo con il quale parlavano le persone, quello con cui pensavano. Tutto prima o poi si perde, se disusato; tutto, ma non quello che le persone non vogliono lasciare andare.

Sembrerà strano, perché un genere, per essere coeso, dovrebbe portare avanti lo stesso intento; non solo, per essere considerato uguale, con le stesse possibilità e prospettive, dovrebbe avere un senso di unità proprio al suo interno. Ma, in questo desiderio di evoluzione c’è chi ancora vuole distinguersi attraverso il bene placido e la condiscendenza, invece che con l’autonomia nel suo senso più radicale.

Autonomia dal retaggio, dalle aspettative sociali, da quella mentalità che per esempio chiede rispetto per le donne non in quanto esseri umani ma in quanto generatrici di vita, come se il solo fatto di essere al mondo non fosse abbastanza per ottenere rispetto.

Mi domando spesso perché molte donne rimangano così legate a certi ruoli, perché non riescano a fare un distinguo fra la personale scelta e la possibilità di scegliere. Come se la loro vita dovesse essere paradigmatica della realtà di tutti e non invece quello che è: una delle molteplici possibilità.

In generale, le persone hanno spesso il bisogno che il mondo le rispecchi, provano paura verso quello che non somiglia loro e persino le idee differenti suonano come violenza e non come libertà.

Lo vediamo costantemente, con le unioni civili, con le adozioni per le coppie gay e anche con la possibilità di stare in una stanza con quattro uomini senza aspettarsi di essere violentate o chiamate puttana.

Tutto quello che non rientra nelle scelte personali, e nel proprio vissuto, è da bandire e giudicare. E in questo le donne, soprattutto quando la loro strada è tracciata ed edificata in un certo modo, raramente sono quel baluardo di accoglienza che ci si aspetterebbe.

E allora, oggi che ho ascoltato in questa troppo piccola parentesi due donne intelligenti e colte raccontare come dovrebbe essere il mondo, non posso che ringraziarle per avermi ridato fiducia, una fiducia che spesso, quando leggo o ascolto certe cose, latita fortemente.

Grazie a Michela Murgia e a Chiara Tagliaferri per il loro lavoro e per il tentativo di descrivere come dovrebbe essere la vera uguaglianza.

Patrizia Ciribè