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Questo periodo è davvero unico. Unico per tutti, direi, dato che non ne abbiamo mai vissuto uno altrettanto straordinario.

Singolarmente, personalmente, ognuno di noi nella vita ha avuto momenti in cui si è sentito fuori dal tempo e dallo spazio, per un lutto, una malattia, un evento traumatico. Ma trovarsi tutti insieme ad affrontare la medesima cosa, con la stessa uniformità di una guerra mondiale, è senz’altro un fatto straordinario.

La differenza con un conflitto bellico, lo sappiamo, è questa strana battaglia che dobbiamo combattere chiusi in casa. Combattere seduti sul divano è un po’ la metafora di come stiamo affrontando ogni cosa nell’ultimo decennio; di come ormai esterniamo a suon di condivisioni di link, comodamente seduti davanti a un pc o con un cellulare, tutte le nostre frustrazioni.

Adesso siamo anche legittimati a farlo, senza neppure il bisogno, per quelli che ce l’hanno, di nascondersi dal proprio capo mentre fanno finta di lavorare e invece sono su Facebook.

Siamo solamente pregati di stare in casa. Solo questo.

Se uno ci avesse pensato, non dico tanto, sei mesi fa, prima della “questione cinese”; se ci avessero detto che questa sarebbe stata la nostra battaglia, avremmo riso quasi speranzosi.

C’è sempre questo lamentarsi costante di chi non ha mai il tempo per fare nulla di costruttivo, pur trovando sempre quello per le boiate, ma oggi, questa dimensione quasi onirica in cui tutto è fermo, è vissuta come la più amara delle vessazioni. Come se dall’alto qualcuno si divertisse a impartire dettami che costringono le famiglie a stare nelle loro abitazioni.

Perché poi, è vero, ci sono le questioni logistiche, i problemi economici, i pensieri per il futuro, ma come sempre nella vita, quelli che sembrano più intolleranti sono proprio quelli a cui non cambia nulla: che hanno una pensione, uno stipendio garantito, una casa di proprietà e via discorrendo.

Aristotele diceva “Se c’è una soluzione, perché ti preoccupi? Se non c’è una soluzione, perché ti preoccupi?”

Su questo pensiero ho fondato la mia mentalità, la possibilità di coesistere con l’incertezza imprenditoriale. Ma l’incertezza non è pane per tutti, ci sono quelli per cui il minimo intoppo è un dramma impossibile da affrontare. E penso sempre che ciascuno di noi, per una sua predisposizione, si trova ad affrontare solamente ciò che è nelle sue corde e capacità.

Per questo, in un periodo in cui “la guerra” la si combatte da casa, quelli che non hanno mai avuto a che fare con l’incertezza vanno nel panico.

Se non c’è soluzione, perché ti preoccupi? Che può apparire come un concetto davvero superficiale, lo capisco. Ma la verità è che se tutti quanti pensassimo che è effettivamente così che stanno le cose, forse la gente avrebbe smesso di uscire di casa molto tempo prima, e ora saremmo quasi fuori da questo purgatorio.

Fatta salva quella percentuale di imbelli che uscivano unicamente perché mossi da una forma idiota di ribellione (e ovviamente quelli che vi sono costretti per categoria professionale), tutti gli altri lo facevano a causa della loro mania del controllo, della ricerca spasmodica di un modo per avere voce in capitolo sulla propria quotidianità, come se questo bastasse per ristabilire i loro equilibri.

Ma a ben vedere, gli equilibri in cui vive l’uomo medio sono essenzialmente squilibri, convinzioni di eternità e onnipotenza che nulla hanno a che vedere con la verità.

Non c’è interesse per la storia, per la lettura, per gli altri e le loro miserie, e questo, se ci si pensa bene, è il vero squilibrio dell’uomo moderno.

La mancanza di interesse per la vita e le sue manifestazioni più elevate ha illuso l’uomo che l’equilibrio sia nella continuità della sua sussistenza. E quando si trova davanti all’incertezza, a un punto di domanda così gigantesco, c’è poco da fare, se la fa sotto.

Sono passati i tempi delle conquiste, della fame: ora la nostra fame è anch’essa stupida, fame di cose che si trovano sugli scaffali. E anche da un punto di vista della più alta estetica, questa battaglia a suon di carrelli della spesa ci rende ridicolmente brutti.

Nonostante ci siano quelli che invocano a gran voce la chiusura delle fabbriche, il giorno in cui non ci fosse più il biscottino di quella marca o il formaggio di Vattelapesca, inutile dire di no, saremmo gettati nel caos.

Le battaglie, in questo nostro secolo così privo di un vero spessore sociale, si combattono a suon di luoghi comuni, gettando tutto nel calderone, paragonando cose imparagonabili; andando controcorrente solamente per il gusto di dire qualcosa di impopolare.

Il fatto è che quasi nessuno ha idee impopolari che siano allo stesso tempo anche intelligenti. No. Infatti, non per battere sempre sullo stesso tasto, quando non si leggono due righe nemmeno a morire e si vive del nulla, si è poi incapaci persino di formulare un pensiero accettabile, figuriamoci uno intelligente e al contempo alternativo!

Ho letto persone paragonare l’astio verso quelli che pretendono di andare a correre in questo momento, al razzismo. Giuro, l’ho letto più di una volta.

Ho letto gente mettere tutto insieme, ciò di cui si ha bisogno, come la chiarezza e disapprovazione per chi disattende le disposizioni, con l’inutile di quelli che vorrebbero disattendere le disposizioni perché è spuntato loro un foruncolo sul naso e devono andare al Pronto soccorso.

Ho letto gente che paragona costantemente l’odio palesato verso gli scemi del quartiere, che fanno come vogliono anche quando muoiono seicento persone al giorno, con l’odio per i migranti.

Da un lato un sentimento d’astio legittimato dalla situazione, dall’altro la mancanza totale di sentimento umano davanti a povera gente disperata.

Questo appiattimento di valori, questa incapacità di legittimare ciò che è legittimo distinguendolo da ciò che è solamente umano, è un problema che ci vede protagonisti di questo secolo in cui le gare sono sempre “alla meno”.

Non so come finire questo pezzo di oggi, se non dicendo che l’equilibrio non sta nel silenzio forzato e dato dall’incapacità di formulare un pensiero intelligente. L’equilibrio sta nel capire quando due cose hanno la stessa gravità, prima di paragonarle gettandole in un minestrone; parlare se si ha qualcosa di vagamente intelligente da dire.

Non so se andrà tutto bene, francamente. So che andrà come deve andare: a volte è sano e saggio arrendersi a quest’unica certezza.

Patrizia Ciribè