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Tutto ciò che, quando smetti di trainarlo, resta fermo indietro era destinato a morire. L’accanimento conclama la morte del concetto iniziale; la sua fine inesorabile. Questi gli argomenti di oggi: Rinnovamento, mente libera e buoni auspici.

Parto da qui per inaugurare un nuovo anno e per augurare, sia dal punto di vista personale che sociale, una catarsi rinnovativa.

L’aria che tira è quella di un comune desiderio di rinnovamento, ma non c’è rinnovamento se non si lascia indietro qualcosa.

So che non è facile uscire dal torpore, dalla fiacchezza che accompagna con costanza l’abitudine del nostro vivere, che finisce spesso per sopraffare anche i guizzi di iniziativa e lo fa subdolamente, mentre il tempo scorre quasi senza che ce ne rendiamo conto. Ma, anche se certe situazioni che ci portiamo dietro nostro malgrado sembrano irrimediabili e definitive, è molto più semplice di ciò che pensiamo.

Ognuno di noi ha il suo modo per affrontare quel moto costante e inesorabile che spesso, senza che ce rendiamo conto, diventa una catasta infinita di cose indesiderate. C’è chi le gestisce e chi le subisce solamente; chi si accanisce e chi cerca di modificarne la consistenza.

Tutte queste azioni richiedono, però, un dispendio di energie, un lavoro costante e innaturale che finisce per ammalare quella parte di noi che è incapace di vivere liberamente.

Faccio un passo indietro, uno lungo di parecchi anni, che risale alla mia giovinezza. Ci fu un momento in cui la paura governò le mie scelte e lo fece subdolamente travestita da coraggio. Perché la paura non si mostra mai per quello che è, ha sempre bisogno, per essere convincente, di assomigliare a qualcosa d’altro. Ecco, nel mio caso somigliò a una soluzione facile, direi quasi inevitabile. Ma quando la soluzione è facile, e non implica l’eliminazione di ciò che ostacola la nostra crescita, la strada futura sarà lastricata di difficoltà e infelicità. Sarà inoltre un continuo procrastinare l’inevitabile.

Pensiamo sempre che lottare, e sacrificarci, per ogni cosa sia fisiologico della vita; che non ci sia vita senza costrizione, senza sofferenza, senza una dedizione irragionevole. Lo pensiamo per tanti motivi, uno su tutti l’impostazione cattolica di una mentalità che ci impone di fustigarci anche quando non ne abbiamo motivo. Da qui, procediamo come se non avessimo vie d’uscita, come se quella gabbia, che ci siamo costruiti dando ragione alle nostre paure, fosse reale. Pure se nessuno ci tiene, pure se la porta è aperta, pure se abbiamo due gambe su cui camminare, cuore e cervello, pensiamo che la cosa più naturale sia la più difficile.

Forse anche perché crediamo che resa e arrendevolezza siano realmente sinonimi, ci obblighiamo ad anni di malessere anche se l’unica cosa che avremmo dovuto fare era smettere di accanirci.

La nostra struttura fisica, invecchiando, ci pone dei limiti. Alcuni di essi sono quelli saggi della memoria evolutiva, quelli che hanno guidato la specie nel corso dei secoli. Ci insegnano quando è il momento giusto per smettere di portare pesi, di alleggerirci ed evitare di danneggiare il nostro corpo in maniera irreversibile. A un certo punto, cominciamo a essere più parsimoniosi di noi stessi, ci conserviamo, perché quei limiti che non c’erano prima, d’improvviso, diventano tangibili. Percepiamo concretamente la necessità di cambiare alcuni comportamenti, e lo facciamo senza sentirci in colpa, solamente in risposta a un mal di schiena, di gambe, ecc. Ma la mente no, la mente non la ascoltiamo quasi mai. E poco importa se si aggroviglia su se stessa in convincimenti capaci di determinare ogni azione e destino. Perché tutto quello che esiste nei nostri pensieri, sotto forma di abnegazione e costrizione, ci convince di essere fondamentale.

Se facessimo con la mente quello che facciamo col corpo, quando ci accorgiamo che sollevare cose troppo pesanti non va più bene, saremmo liberi. Se lasciassimo indietro quello che ci intossica la mente, avremmo la piena coscienza di chi siamo e di cosa desideriamo.

Un desiderio, per essere pulito da condizionamenti, e quindi propositivo, necessita di un ambiente armonico in cui esprimersi chiaramente. Ma siamo talmente intossicati dalla convinzione di non avere alternative, che i nostri veri desideri, non solo non hanno spazio per esprimersi, rotolano incontrollati, ingrossando come balle di fieno spinte dal vento.

Succede sempre qualcosa che ci dice di lasciare andare, di smettere di accanirci, di mollare quelle cose che stiamo trattenendo, convinti di non avere alternative. Se sapessimo il bene che fa alla nostra mente essere liberata dalle vecchie convinzioni, e dai rapporti stantii, saremmo salvi.

Quello che percepiamo come egoismo spesso è solamente conservazione della propria salute mentale. L’egoismo, infatti, è un comportamento facilmente identificabile perché implica cattiva fede, slealtà e inadempienza per gli impegni presi.

Ma non è egoismo la lealtà verso noi stessi, soprattutto non lo è quando siamo in buonafede.

Se sapessimo quanto sono tossiche certe presenze, quanto ammalino inutilmente la nostra esistenza; se davvero ne fossimo consci, avremmo in mano la soluzione a buona parte dei nostri problemi.

Sembra difficile, ma non lo è. È sufficiente lasciare andare e smettere di guardarsi indietro, sino a che anche l’ombra di quel convincimento sia troppo lontana per essere ancora visibile.

Sembrerà banale, magari lo è, ma, nel dubbio, guardare avanti è sempre la risposta migliore. Lo dico a voi e lo dico a me stessa.

Patrizia Ciribè